martedì 12 maggio 2015

Desidero segnalare due articoli di Costanza Miriano / Aleteia sull'aborto che mi hanno profondamente colpito

Dopo aver letto questi due articoli di Costanza Miriano/Aleteia - e ascoltato le relative testimonianze, sul medico americano sono tante nella rete - mi sono sentito ancora più vicino alle donne che hanno praticato l'aborto e devono avere una ferita profonda, incancellabile, nella loro anima. Riporto qualche brano:
"Alessandra aveva diciannove anni quando si è accorta di essere incinta. Era stata cresciuta da una madre emancipata, separata, fieramente autonoma. Alessandra era libera di fare tardi la sera, di dormire fuori, di fare quello che voleva con i ragazzi. La sua mamma per lei era un mito, così diversa dalle altre, così poco opprimente. Perciò è stato naturale per lei correre dalla madre per quell’emergenza, come è stato naturale per la madre portarla dal suo ginecologo, che senza battere ciglio l’ha indirizzata verso l’”eliminazione di quel grumo di cellule”, del quale si è ben guardato di mostrare la vera natura – un cuore che batte, una vita che pulsa da subito! – alla ragazza, “per non impressionarla”. Nessuna alternativa proposta, neppure uno dei colloqui previsti, obbligatori, dalla 194." Alessandra abortisce. Lei intelligente, bellissima, simpatica, piena di amici e priva di condizionamenti religiosi, atea, non si fa problemi: si sbarazza di quell'"ammasso di cellule". Solo che le cose non vanno lisce: prima una brutta infezione, dalla quale si riprende, e poi un'angoscia pazzesca al solo pensiero di dover uccidere un essere vivente. Diventa vegetariana osservante e arriva a tuffarsi in piscina per salvare una coccinella annaspante... Bello? Non credo, non lo vive così e anche negli anni successivi, quando ha provato ad avere altri bambini senza riuscirci, sta male al pensiero di quello che ha fatto e arriva a tentare il suicidio, il fondo che più fondo non si può. "Ma non riusciva proprio a perdonarsi, perché non aveva chiamato per nome quello che aveva fatto, e quindi era lei la prima a non chiederlo, quel perdono, a pensare di non meritarlo." Poi scopre la fede in Gesù Cristo e riprende fiducia, ricomincia a sorridere. Con tanta tanta umiltà decide di raccontare la sua storia per risparmiare ad altre donne il suo tormento atroce partecipando alla Marica per la Vita del 2013 e, conclude Costanza Miriano, probabilmente ci riesce: "Sono sicura che già lo ha fatto, che già con le sue parole ha salvato almeno un bambino, ed è così diventata madre, in un altro modo, coraggioso, umile, senza avere niente in cambio."

http://www.aleteia.org/it/salute/contenuti-aggregati/aborto-trauma-testimonianza-marcia-per-vita-5824002400452608?utm_campaign=NL_It&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_It-11/05/2015

Ó Martin Hudacek / Fair Use


Questo, invece, è Bernard Nathanson, un tempo medico abortista dei più convinti. Di seguito racconta di come con il NARAL (National Association for the Repeal of the Abortion Laws, Associazione Nazionale per l'abrogazione delle leggi sull'aborto) di cui è stato co-fondatore, ha provato, riuscendoci, a manipolare l'opinione pubblica in modo che accogliesse l'aborto:

"Sono personalmente responsabile di aver eseguito 75.000 aborti. Ciò mi legittima a parlare con autorevolezza e credibilità sull’argomento. Sono stato uno dei fondatori della NARAL, nata negli Stati Uniti, nel 1968. A quel tempo, un serio sondaggio d’opinione aveva rilevato che la maggioranza degli Americani era contraria a liberalizzare l’aborto. In capo a soli 5 anni, noi riuscimmo a costringere la Corte Suprema degli Stati Uniti ad emettere la decisione che, nel 1973, legalizzò l’aborto completamente, rendendolo possibile virtualmente fino al momento del parto.
Come ci riuscimmo? È importante capire le strategie messe in atto perché esse sono state utilizzate, con piccole varianti, in tutto il mondo occidentale al fine di cambiare le leggi contro l’aborto.

La prima strategia fu conquistare i mass-media

Cominciammo convincendo i mass-media che quella per la liberalizzazione dell’aborto era una battaglia liberale, progressista ed intellettualmente raffinata. Sapendo che se fosse stato fatto un vero sondaggio ne saremmo usciti sonoramente sconfitti, semplicemente inventammo i risultati di falsi sondaggi. Annunciammo ai media che dai nostri sondaggi risultava che il 60% degli Americani era favorevole alla liberalizzazione dell’aborto. Questa è la tecnica della bugia che si auto-realizza: poche persone, infatti, desiderano stare dalla parte della minoranza. Raccogliemmo ulteriori simpatie verso il nostro programma inventando il numero degli aborti illegali praticati ogni anno negli Stati Uniti. La cifra reale era di circa centomila, ma il numero che più volte ripetemmo attraverso i media era di un milione. Ripetendo continuamente enormi menzogne si finisce per convincere il pubblico.

Il numero delle donne morte per le conseguenze di aborti illegali si aggirava su 200-250 ogni anno. La cifra che costantemente indicammo ai media era 10.000. Questi falsi numeri penetrarono nelle coscienze degli Americani, convincendo molti che era necessario eliminare la legge che proibiva l’aborto.Un’altra favola che facemmo credere al pubblico attraverso i media era che la legalizzazione avrebbe significato soltanto che quegli aborti, allora eseguiti illegalmente, sarebbero divenuti legali. In realtà, ovviamente, l’aborto è divenuto ora il principale metodo di controllo delle nascite negli Stati Uniti e il loro numero annuale è aumentato del 1500% dalla legalizzazione.

La seconda strategia fu giocare la “carta cattolica”

Sbeffeggiammo sistematicamente la Chiesa Cattolica e le sue “idee socialmente arretrate” e scegliemmo la Gerarchia cattolica come colpevole dell’opposizione contro l’aborto. Questo argomento fu ripetuto all’infinito. Diffondemmo ai media bugie del tipo “tutti sappiamo che l’opposizione all’aborto viene dalla Gerarchia e non dalla maggioranza dei cattolici” e “ i sondaggi dimostrano ripetutamente che la maggior parte dei cattolici vuole la riforma della legge sull’aborto”. I media bersagliarono insistentemente il pubblico americano con queste informazioni, persuadendolo che qualsiasi opposizione alla liberalizzazione dell’aborto doveva essere sotto l’influenza della Gerarchia ecclesiastica e che i cattolici favorevoli all’aborto erano illuminati e lungimiranti. Da questa affermazione propagandistica si deduceva che non esistessero gruppi antiabortisti non cattolici; il fatto che altre religioni cristiane e non cristiane fossero (e ancora sono) unanimemente antiabortiste era costantemente sottaciuto, allo stesso modo delle opinioni pro-life espresse da atei.

 La terza strategia fu la denigrazione e la soppressione di tutte le prove scientifiche del fatto che la vita ha inizio dal
concepimento.


Spesso mi viene chiesto che cosa mi abbia fatto cambiare idea. Come, da esponente abortista di punta, mi sono trasformato in un difensore pro-life? Nel 1973, sono diventato direttore di Ostetricia in un grande ospedale di New York City ed ho fondato l’unità di indagine prenatale, proprio quando stava prendendo il via una nuova grande tecnologia che oggi usiamo quotidianamente per studiare il feto nell’utero. Una delle principali tattiche pro-aborto è insistere sull’impossibilità di definire quando la vita abbia inizio, e che questa sia una domanda di carattere teologico o morale o filosofico ma non scientifico. La fetologia ha reso innegabilmente evidente che la vita inizia dal concepimento e che richiede tutta la protezione e la salvaguardia che ognuno di noi desidera per se stesso. È chiaro che la liberalizzazione dell’aborto è la deliberata distruzione di quella che indiscutibilmente è una vita umana. È un inaccettabile atto di violenza mortale. Si può comprendere che una gravidanza non pianificata sia uno straziante dilemma, ma cercare la soluzione in un deliberato atto di distruzione significa buttare via l’infinita ricchezza dell’ingegno umano e sottomettere il bene pubblico alla classica risposta utilitaristica ai problemi sociali.

Come scienziato so – non “credo”, ma “so” – che la vita ha inizio con il concepimento. Benché io non sia praticante, credo con tutto il cuore alla sacralità dell’esistenza che ci impone di fermare in modo definitivo ed irrevocabile questo triste e vergognoso crimine contro l’umanità."

Il dottor Bernard Nathanson medico ginecologo statunitense, è stato uno dei membri di spicco del NARAL (National Association for the Repeal of Abortion Laws), cioè l’ente che più di ogni altro si batté per legalizzare l’aborto in USA; divenne direttore del CRASH (Center for Reproductive and sexual Health), la più grande struttura abortista del mondo. Egli stesso procurò con le sue mani 75.000 aborti.
 Negli anni settanta lo sviluppo degli ultrasuoni permise di avere una immagine definita del bambino in grembo e Nathanson assiste ad un aborto visto però tramite le immagini ultrasoniche, visto, cioè, quasi dalla parte del bambino. La visione lo cambia per sempre. Il campione dell’abortismo, è folgorato e diventa il più grande attivista pro-life.  Il suo libro "Aborting America" è un testo imprescindibile nella storia della cultura della vita, il suo documentario The Silent Scream diverrà uno strumento preziosissimo, poiché mostra fisicamente quello che Nathanson arriva a chiamare «il più grande olocausto della storia». Benché si fosse sempre dichiarato ateo giudeo, nel 1996, si convertì al cattolicesimo attraverso l’incontro con l’Opus Dei. E’ morto nel 2011.

Per i medici che, come Nathanson, hanno praticato aborti deve essere diverso che per le donne che hanno "aiutato". Eppure nel giuramento d'Ippocrate che qui in Italia i medici sono obbligati a leggere al momento di diventare medici sta scritto: "Eserciterò la mia arte nell'innocenza e nella purezza, non darò del veleno neppure se me lo si domanda e non somministrerò prodotti abortivi", come riporta mio fratello Enrico nel suo libro "L'olocausto bianco, King's Herod's return". Anche in quel caso, se si rendono conto di quello che hanno fatto, deve essere tremendo, ma non è la stessa cosa: non si tratta del loro figlio. In entrambi i casi non credo che si possa fare altro che pregare e, magari, fare scoprire loro, se possibile, la fede e la possibilità, almeno in parte, di ritornare a vivere.



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