domenica 21 dicembre 2014

"Nel matrimonio è in gioco un’idea antropologica che qualifica la nostra stessa civiltà" di Francesco Lamendola

Per salutare l'inizio dell'inverno posto volentieri quest'articolo di Francesco Lamendola, docente liceale di Storia e Filosofia. Lo trovo di una rara chiarezza e capacità di sintesi. E voi?

Il matrimonio e la famiglia sono sotto attacco, e l’attacco è sferrato da forze occulte e insidiose, che si servono della buona fede di un pubblico manipolato ad arte e ormai abituato a pensare, o piuttosto a credere di pensare, secondo categorie demagogiche preconfezionate: pubblico che si illude di condurre una battaglia di civiltà per i diritti dei “diversi” e, quindi, in teoria, dei più deboli, mentre è in gioco una posta altissima e ben diversa: la sopravvivenza della nostra civiltà, nel senso letterale dell’espressione. Non è “soltanto” la nostra società che si trova in estremo pericolo, sospesa ormai sull’orlo dell’abisso: non soltanto l’insieme pratico dei cittadini, con le loro reciproche relazioni affettive, professionali, culturali; è la nostra stessa civiltà che rischia il tracollo definitivo e irreparabile, vale a dire l’insieme dei nostri valori, delle nostre tradizioni, dei nostri sistemi di pensiero. Dal crollo di una società si può anche risorgere; dal crollo di una civiltà, no. Certo, al posto di essa ne sorgerà una nuova; ma basata su altri principi e su valori profondamente diversi, di cui saranno protagonisti altri soggetti: altri popoli, altre comunità, altre maniere di vedere il mondo e d’intendere il significato della vita. L’arte, la scienza, il senso del bello, il senso del vero, il senso del giusto: tutto verrà ricostruito su nuove basi, su diverse fondamenta. Non è detto che sarà una brutta cosa, anzi, può darsi benissimo che la nuova civiltà sarà migliore dell’antica: ma sarà un cambiamento doloroso. Nessuna civiltà tramonta e scompare in modo indolore; e coloro che vivono quella fase storica pagano sulla loro pelle un prezzo altissimo, senza alcuno sconto e, per lo più, senza un orizzonte di speranza: per loro, il mondo che sta finendo è tutto il mondo. Così l’hanno vissuta i Romani della tarda antichità, quando i templi del paganesimo venivano abbattuti e Roma, la Città Eterna, veniva presa e saccheggiata dai barbari: fu un trauma sconvolgente, senza precedenti. Ora, la nostra civiltà, la civiltà europea, così come si è definita da oltre un millennio e così come noi la conosciamo, la amiamo o forse la detestiamo, ma sempre sentendo, pensando, giudicando dall’interno di essa, dei suoi valori, dei suoi punti di vista, si fonda sulla famiglia; e la famiglia si basa sul matrimonio, inteso come l’unione stabile fra un uomo e una donna, aperta alla procreazione e impostata su un comune progetto di vita e di bene scambievole. Nessuna norma giuridica potrebbe sostituire queste caratteristiche spirituali, né imporle dall’esterno: o ci sono, o non ci sono. Se ci sono, il la famiglia fondata sul matrimonio potrà affrontare le prove più dure e, magari, anche soccombere, ma senza smarrirsi, senza perdere la propria coesione e i propri valori; se non ci sono, nessuna cerimonia e nessun patto legale potranno infonderle quella intima forza che non possiede, e che proviene non solo dall’amore, ma anche dalla fiducia nella fonte inesauribile da cui l’amore umano discende e a cui si rinnova, ma che non appartiene alla dimensione contingente. Il matrimonio, nel mondo antico, era contemporaneamente una cerimonia civile e religiosa; col cristianesimo, l’aspetto religioso divenne predominante, perché nella civiltà cristiana è lo spirituale ad includere il temporale, e non viceversa, così come l’Impero è incluso nella cristianità. Quando sorge l’idea che l’Impero sia una istituzione autonoma e parallela alla Chiesa, il Medioevo è alla fine: Dante la pensa così, ma con lui lo spirito medievale è già tramontato. Per qualche secolo ancora la civiltà europea si ammanta di cristianesimo, mentre sta svuotando quest’ultimo di ogni reale influenza sulla società civile e mentre il potere statale (non dell’Impero, con la sua idea universalistica, ma degli Stati nazionali, ciascuno portatore del proprio particolarismo) erode e distrugge lentamente le prerogative della Chiesa. Con il giurisdizionalismo e con l’Illuminismo, il processo giunge a compimento: cadono anche i veli esteriori, e la proclamata separazione tra sfera civile e sfera religiosa significa, né più né meno, la privatizzazione del fatto religioso e quindi anche del matrimonio religioso. La cerimonia si sdoppia in un rito civile e in un rito religioso; poi, lentamente ma irresistibilmente, il secondo comincia ad essere soppiantato dal primo, o – il che è lo stesso – viene a perdere le sue caratteristiche profonde e specifiche, spirituali, trascendenti, per divenire una copia del rito civile, conservando solo la vernice superficiale di ciò che era stato un tempo. Il matrimonio religioso, secolarizzandosi, perde non solo il suo prestigio, ma anche la sua funzione e la sua ragion d’essere: si riduce allo sfarzo di un giorno, di un’ora; non è più un progetto comune che l’uomo e la donna si impegnano a portare avanti sino alla fine della loro vita, nella buona e nella cattiva sorte. E non è più una promessa fatta davanti a Dio, ma un’occasione di mondanità e un omaggio formale al conformismo e al quieto vivere. Oggi il matrimonio cristiano è ormai quasi scomparso, e, con esso, anche la famiglia è andata profondamente in crisi; ma - sorpresa per i laicisti convinti di esser giunti a coronare i loro sforzi secolari - ecco che anche il matrimonio civile, nel medesimo tempo, sembra aver subito lo stesso logoramento, però in un tempo enormemente più breve. Ora che pochi si sposano in chiesa, e non più con lo spirito religioso d’un tempo (prova ne siano le coppie che si sposano dopo anni di convivenza, e con la sposa in abito bianco, simbolo di purezza, come una vergine), sono ancor meno quelli che decidono di sposarsi in municipio. Sposarsi, e perché mai? Perché sobbarcarsi gli oneri e i sacrifici di una promessa di lunga durata, quando la maggioranza delle persone ha ormai scelto il modello della libera convivenza, ossia delle cosiddette unioni di fatto? Niente promesse, niente impegni, niente figli, a meno che se ne senta il desiderio, magari più tardi, magari quando i genitori sarebbero in età di fare i nonni: la famiglia non è più costruita sul progetto della procreazione, dell’apertura alla vita che nasce, ma sul contratto stipulato fra due individui interessati a stabilire i rispettivi diritti e a garantirsi il massimo della libertà personale. Non è poi così strano se, in questo quadro culturale e spirituale, non solo le unioni di fatto, ma anche le unioni omosessuali ambiscono a ottenere il riconoscimento giuridico dello Stato, mediante l’assoluta equiparazione al matrimonio, o meglio, ottenendo la qualifica di “matrimonio”, punto e basta. I figli si possono sempre adottare; oppure, nel caso di una coppia lesbica, si possono ottenere con l’ausilio della fecondazione eterologa. Curioso fenomeno, ma strano solo in apparenza: mentre l’uomo e la donna sono sempre più restii a sanzionare la reciproca unione mediante il vincolo matrimoniale, le coppie omosessuali si battono ovunque per ottenere la fine della loro pretesa “discriminazione” e per potersi sposare in municipio, e magari anche in Chiesa – come già avviene in alcuni Paesi del Nord Europa. E mentre le coppie eterosessuali sono sempre più esitanti a fare figli, quelle omosessuali sembrano più che mai impazienti di poterne avere. Tutto questo avviene non come effetto, ma come risultato di una lenta, metodica, paziente e poco vistosa campagna culturale preparatoria, portata avanti, negli ultimi decenni, da centinaia e migliaia di film, di romanzi, di concerti, di inchieste, dibattiti, tavole rotonde, salotti televisivi e notizie di cronaca abilmente sfruttate, manipolate, gonfiate o sgonfiate secondo le circostanze, così da creare nell’opinione pubblica l’impressione che vi sia una “emergenza omofoba” e che, per contrastare la persecuzione degli omosessuali, sia indispensabile, nonché urgentissimo, riconoscere loro tutti i diritti del caso, compreso quello di sposarsi e avere o adottare dei figli. Frotte di volonterosi psicologi e psichiatri ci hanno spiegato, dall’alto del loro discutibile sapere, magari dalle colonne di qualche rivista modaiola, che non c’è alcuna differenza sostanziale fra sposarsi con una persona dell’altro sesso, oppure del proprio; che chi la pensa diversamente è un razzista, un sessista, un incorreggibile reazionario; che i bambini crescono altrettanto bene, altrettanto equilibrati e sereni, in un contesto familiare eterosessuale, così come in uno omosessuale; e che gli eventuali complessi o anche solo i disagi, cui sarebbero esposti nel secondo caso, sono soltanto e unicamente il frutto delle nostre paure e dei nostri assurdi e incivili pregiudizi. Di più: in diversi Paesi d’Europa si è deciso, per non offendere la sensibilità dei bambini che vivono con genitori omosessuali, che gli educatori non devono più adoperare l’espressione “bambino” o “bambina”, anzi, non devono proprio adoperare il pronome “lo” o il pronome “la”, riferito ai propri compagni di scuola o d’asilo, ma il neutro. Tutto questo è stato votato e approvato già da alcuni Parlamenti ed è stato presentato all’opinione pubblica come una battaglia di civiltà, incoraggiando nei giovani l’idea che il matrimonio è, semplicemente, la sanzione del legame affettivo che unisce due persone, indipendentemente dal genere sessuale. Tanto, si dice, l’importante è che ci sia l’amore: purché ci sia l’amore, il fatto che a sposarsi siano un uomo e una donna, oppure due uomini o, ancora, due donne, diventa del tutto ininfluente; e lo stesso vale per l’eventuale adozione di figli. Eppure è evidente, se appena si vi pone un minimo di attenzione, che dietro queste pretese “battaglie di civiltà”, e dietro l’apparente ragionevolezza e l’apparente minimalismo di codesti paladini dei “diritti civili”, si cela un progetto di vasta portata, mirante a scardinare il principale puntello della nostra civiltà: la famiglia fondata sul matrimonio e formata da un uomo, una donna e, potenzialmente, dalla prole da essi generata. Infatti, nel matrimonio la posta in gioco è molto più alta di quel che potrebbe apparire di primo acchito, e cioè – come osserva il filosofo Francesco Botturi - l’idea antropologica che qualifica una intera civiltà, la nostra. Ed è altrettanto evidente, aggiungiamo noi, che tale consapevolezza si va offuscando, al punto che molte persone, apparentemente in buona fede, reclamano la fine del “matrimonio tradizionale” in nome di un matrimonio più “aperto”, più “libero”, più “moderno”: un sedicente matrimonio nel quale la nozioni di impegno, di fedeltà, di durata, di assunzione di responsabilità, tendono a passare del tutto in secondo piano, lasciando il posto alla pretesa del massimo vantaggio personale, della massima libertà individuale, del massimo esercizio dei diritti. Esso diventa, così, il luogo istituzionalizzato in cui riceve una sanzione definitiva quell’individualismo egoistico e calcolatore che già in pensatori come John Locke aveva trovato la sua consacrazione filosofica. In questa prospettiva, la società cessa di essere una rete armoniosa di soggetti fondati, a loro volta, su quella società in miniatura, essenziale e insostituibile, che è la famiglia: luogo di affetti, ma anche di maturazione, di educazione ai valori, di preparazione alle responsabilità della vita adulta; e diventa, sempre più – almeno nella propaganda di questi chiassosi paladini dei “nuovi diritti” – la quintessenza e la somma di due egoismi che si studiano a vicenda, si delimitano, si riconoscono e si accordano per ricevere il minimo del disturbo l’uno dal’altro, e il massimo del vantaggio quanto all’esercizio sfrenato della libertà personale, intesa non come libertà di perseguire il bene – quello proprio e quello altrui -, ma come inesausta rincorsa del piacere. Il matrimonio diventa così peggio di una finzione: diventa la contraffazione di quel che esso è realmente, la caricatura orribilmente deformata di ciò che, per secoli e secoli, ha rappresentato per la nostra civiltà; diventa la consacrazione ufficiale dell’edonismo e del narcisismo eretti a sistema e il riconoscimento che nulla vi si deve opporre, in nome di un relativismo etico che si basa sul «perché no?». Un matrimonio, che sia ufficialmente riconosciuto come tale, fra due persone del medesimo sesso: perché no? Un figlio a sessant’anni: perché no? Un bambino adottato da due uomini o da due donne: perché no? Cosa c’è di male? Se esiste l’amore, perché bisognerebbe impedire a queste persone di cercare la felicità? In nome di quale diritto, di quale dovere? Se la vita non è che la ricerca del piacere e se la società e lo Stato ad altro non servono che a garantire tale diritto, mediante una meticolosa e capillare casistica giuridica, si può forse sostenere che tali conseguenze non siano perfettamente coerenti con le premesse? Evidentemente no. Dunque, bisogna avere il coraggio di guardare dritto al cuore del problema, e non lasciarsi distrarre da aspetti del tutto secondari. Per esempio, bisogna avere l’onestà di riconoscere che una cosa è il riconoscimento del diritto alla ricerca della felicità individuale; altra cosa è affermare che questa è l’unica cosa che conta e che tutti gli altri scopi e valori, specialmente di ordine collettivo, devono esserle subordinati. Il relativismo etico si è affermato sfruttando il senso di colpa nei confronti di taluni eccessi di severità da parte della società d’un tempo.

giovedì 18 dicembre 2014

Viva la Svezia che è il Paese più libero del mondo!

Riposto una petizione diffusa da Marco Cattaneo di CitizenGo:


"Il Natale si avvicina. I cristiani, e forse non solo, festeggiano la nascita di un bambino, nato in una mangiatoia, al sicuro tra le braccia della sua mamma.
Al giorno d'oggi, fortunatamente la tecnica e i dispositivi dei moderni ospedali garantiscono un ambiente più sicuro per accogliere la vita nascente. Dottori ed infermieri sono a disposizione della mamma e del bambino per assisterli nei momenti più delicati della loro vita. 
Purtroppo la stessa tecnica impedisce ogni anno a milioni di bambini di nascere: in alcuni Paesi, gli operatori sanitari possono assistere e contribuire alla nascita di un bambino solo se sono disponibili a partecipare attivamente ad aborti. Accadeva nei regimi comunisti qualche decennio fa, e ora accade in Svezia, un Paese famoso per la sua tolleranza. L'infermiera svedese Ellinor Grimmark è stata licenziata perché si è rifiutata di prendere parte a una procedura abortiva. Questa donna ha dedicato la propria vita a far nascere i bambini, e non a fare l'esatto opposto. Ellinor non può più lavorare come infermiera in Svezia, ed è costretta a continuare a far nascere bambini in un altro Paese. La Svezia sembra aver dimenticato che l'obiezione di coscienza è un diritto umano fondamentale.
Ruth Nordström e l'associazione Scandinavian Human Rights Lawyers (insieme agli avvocati di Alliance Defending Freedom) stanno difendendo le ragioni di Ellinor davanti ai tribunali svedesi ed europei. Con questa campagna, vogliamo far sentire ad Ellinor la vicinanza, il calore e la stima di tutti coloro che credono nel valore della vita nascente e nella libertà di coscienza.
A pochi giorni da Natale, vogliamo celebrare il lavoro di una donna che ha votato la sua vita professionale ad aiutare mamme e bambini, ricevendo in cambio una lettera di licenziamento e l'impossibilità di continuare a lavorare nel proprio Paese.
Firmando questa petizione, sottoscriverai il messaggio di sostegno ad Ellinor qui sulla destra. Se vorrai, potrai inserirne uno diverso nell'apposito spazio. Tutti i messaggi saranno raccolti e recapitati a Ellinor al termine di questa campagna.
Io sto con Ellinor Grimmark.
E tu?"

Per chi voglia diffondere la petizione può farlo al seguente link:

http://citizengo.org/it/signit/14825/view

La Svezia è, come si dimostra e come non credevamo, un Paese molto arretrato, se non lascia ai singoli la possibilità di vivere secondo le proprie convinzioni e li emargina dalla società "libera". Falsa libertà è quella di un Paese che non lascia liberi i propri cittadini. Vergogna!

domenica 14 dicembre 2014

A proposito di ragionare con la propria testa, ecco un laico che chiama le cose con il loro nome: quello è un bambino. Tanto di cappello!

... ecco un uomo, Giorgio Pardi, medico importante (direttore della Clinica Mangiagalli di Milano, tristemente nota per i primati abortisti) che indipendentemente dalla fede - che non ha - dice quello che pensa. Un uomo che ragiona con la sua testa: tanto di cappello!

Ci auguriamo che, come già sta succedendo in molti ospedali italiani, siano in molti ad accogliere la sua diretta testimonianza e il suo esempio.


http://www.losai.eu/sono-ateo-ma-quello-e-un-bambino-il-90-dei-medici-si-rifiuta-di-praticare-aborti/

Con buona pace di tanta cultura radicale "liberatrice" dalle responsabilità e, in realtà, portatrice di morte.

 

lunedì 24 novembre 2014

Femen: come mai un fenomeno nato in Ucraina per protestare contro la discriminazione femminile e il turismo sessuale oggi prende piede in Europa e con tutt'altra... pelle?

Forse arriva qualche risposta alla seconda domanda del mio ultimo post (la prima rimane senza replica):

1. "Cosa c'è da sentirsi orgogliosi rispetto allo spettacolo di mostrarsi in topless nello spettacolo di Announo?"
La conduttrice Innocenzi, infatti si era detta orgogliosa di avere ospitato cinque scalmanate che si erano prodotte discinte in una preghiera per l'annullamento della religione: uno spettacolo di uno squallore unico che La7 aveva pensato bene di mostrare.

2. "Chi finanzia queste donne?"
Su questo comincia ad arrivare qualche notizia. Così Wikipedia:

"Daryna Chyzh, giornalista televisiva ucraina del canale 1+1, è riuscita ad infiltrarsi all'interno del movimento. Secondo il suo reportage, dopo aver partecipato ad una sorta di "provino" ed essersi fatta fotografare a seno nudo, la giornalista si sarebbe trasferita a Parigi per seguire un training su come mostrarsi dinanzi alle telecamere e come denudarsi in maniera eclatante. Daryna avrebbe poi partecipato ad una manifestazione anti-islamica a seno scoperto in un distretto musulmano della città. La reporter ha anche rivelato che le attiviste FEMEN, oltre ad aver spesato viaggio in aereo, taxi, vitto e alloggio, nonché trucco e cosmesi, percepirebbero un compenso di circa 1000 € al mese, mentre le dipendenti dei vari uffici coordinativi di Kiev arriverebbero a percepire 2500 € mensili, il che è molto, in un paese in cui lo stipendio medio d'un lavoratore arriva sì e no a 500 €. Sempre secondo quest'inchiesta, dietro il movimento si celerebbero importanti personalità del jet set europeo. Il movimento FEMEN nega ogni addebito e ha già intentato causa contro la giornalista ed il network televisivo che ha ospitato il suo reportage."
Così Vladimir Sinelnikov della "Voce della Russia":



"La ragazza è entrata a far parte dell'organizzazione, dichiarandosi convinta sostenitrice delle loro idee e partecipava personalmente alle azioni di protesta in topless, registrando il tutto con una telecamera nascosta. Si è scoperto che dietro gli ideali di emancipazione femminile in realtà ci sono finanziatori dell’Europa e degli Stati Uniti.
Per smascherare FEMEN la giovane giornalista si è dovuta “sacrificare” partecipando alle loro azioni in topless. Per settimane era stata addestrata per come tenere un comportamento aggressivo e come attrarre l'attenzione dei giornalisti fingendo di essere una vittima innocente del “sistema sessista”. Cosa più importante le è stato insegnato come mostrare davanti la telecamera il suo seno.
Il debutto in topless della giornalista è avvenuto a Parigi dove FEMEN aveva recentemente aperto un nuovo ufficio di rappresentanza. Alcune attiviste hanno organizzato una manifestazione nel loro stile mostrando il seno davanti il centro culturale islamico parigino. La giornalista era terrorizzata, respirava l’odio della gente che sentiva derisa la propria fede:
L'azione dimostrativa si sta svolgendo presso un centro culturale islamico e riteniamo che la folla sia pronta ad assalirci, ci salvano solo le telecamere dei giornalisti.
Il viaggio a Parigi è stato pagato direttamente dal movimento FEMEN alla giornalista. I biglietti d’aereo, le camere d'albergo, il taxi e i pasti erano stati quantificati in 1.000 euro al giorno, a parte ma sempre a “costo zero” le spese per gli estetisti e la cosmetica.
Inoltre si è scoperto che le attiviste di FEMEN sono pagate almeno un migliaio di dollari al mese, quasi tre volte il salario medio ucraino. Inoltre il personale a Kiev guadagna circa 2.000 dollari al mese mentre quello della sede parigina diverse migliaia di euro al mese.
Chi così generosamente finanzia questo movimento e quale sia lo sponsor che pubblicizzano le ragazze mostrando il loro seno, rimane avvolto nella nebbia, come si suol dire “mistero della fede”. Si possono solo fare delle ipotesi. La giornalista suggerisce che alcune note persone si sono incontrate con le leader del movimento. Si tratta del miliardario tedesco Helmut Geier, l’imprenditrice tedesca Beate Schober e l’uomo d'affari americano Jed Sunden. L’ultimo sponsor delle FEMEN forse è Wikipedia."

Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2012_09_22/FEMEN-rivelazioni-veramente-scandalose/


Si tratta, come si vede, di voci contrastanti e da verificare, tuttavia ci sono alcuni elementi utili per cominciare a farsi un'idea.

Intanto, in primo luogo, ritengo sia fortemente contraddittoria l'idea di protestare contro l'oggettivazione del corpo femminile mostrandosi in topless: si tratta, infatti, di un'evidente strumentalizzazione del corpo femminile.

Inoltre credo sia ancora più contraddittoria l'idea di protestare contro l'ingresso del papa al Parlamento Europeo, in quanto simbolo d'intolleranza religiosa: se non è intolleranza questa...!

Ancora più grave sarebbe, infine, se le rivelazioni della giornalista sui compensi alle Femen, come crediamo, fossero fondate: la mercificazione del corpo si chiama infatti prostituzione, contro la quale, fra l'altro, le Femen lottano!

Infine lo "spettacolo" penoso e blasfemo a cui le Femen ci hanno sottoposto - a me sono bastate due o tre foto - in piazza san Pietro è uno schiaffo alla libertà di pensiero e di religione. Sarete pure libere di manifestare fino a quando non schiacciate la libertà degli altri: si può sapere a che sanzioni sono state sottoposte queste "signore" dopo aver fatto quello che hanno fatto con i crocifissi o sono "libere" di farlo?
Ripeto: mi sembra che l'eccessiva tolleranza porti alla "casa di tolleranza" (contro la quale, tanto per cambiare, le Femen si battono, ops... scusate: è solo una coincidenza).


sabato 22 novembre 2014

Announo: la conduttrice Giulia Innocenzi si dice "molto orgogliosa" di ospitare le Femen, con i loro insulti a papa Francesco e alla religione

Riporto una petizione di CitizenGo che mi sembra degna di nota.

"L'ultimo episodio riprovevole riguarda la comparsata del gruppo "Femen" nella puntata dello scorso 12 novembre di Announo. Le attiviste di Femen, per protestare contro la visita di papa Francesco al parlamento Europeo della prossima settimana, dapprima hanno inscenato una grottesca preghiera "per un mondo senza religione". Poi, tra i timidi applausi del pubblico, hanno affermato che tale visita rappresenterebbe una minaccia ai diritti umani.





ATTENZIONE: alcuni dei contenuti successivi possono offendere la sensibilità di chi legge. Abbiamo deciso di riportare i fatti esattamente come sono avvenuti. Chi non desidera venire a conoscenza di particolari che potrebbero risultare urtanti della sua sensibilità, puoi saltare le frasi evidenziate in giallo.





Per intenderci, le Femen sono le stesse che, la mattina del giorno successivo (venerdì 13 novembre), hanno inscenato un blitz a Piazza San Pietro, scandendo slogan come "La vostra fede, la vostra morale religiosa, il vostro papa... ficcateveli dentro!" e mettendo in scena inequivocabili performance oscene con dei crocifissi.


Anche ad Announo le Femen hanno espresso offese esplicite e volgari: alla fine della loro "performance", una delle attiviste ha chiesto nuovamente la parola e (significativamente non tradotta dall'interprete in diretta) ha gridato "Femen fucks the pope, but with condoms!", che letteralmente significa "le Femen si fottono il papa, ma col preservativo!".

Evidentemente qui non c'è nessun tipo di rivendicazione femminista o legata a qualsivoglia diritto umano. Qui c'è semplicemente la deliberata intenzione di offendere con parole e gesti osceni la sensibilità religiosa e (non solo) di milioni di persone.
Come reagisce la conduttrice Giulia Innocenzi alle offese contro papa Francesco, proprio pochi secondi dopo l'ultimo grave insulto? Dicendo "Sono le Femen, e io sono molto orgogliosa di averle potute ospitare."
La7 era già stata cassa di risonanza di contenuti eitcamente discutibili (come in Grey's Anatomy, dove due dottoresse intrattengono una relazione omosessuale e sono alle prese con l'educazione della figlia Sophia), ma l'ospitata delle Femen ad Announo ha rappresentato qualcosa di molto più grave.
La televisione commerciale deve badare alle opinioni del pubblico, perché vive della pubblicità e quindi degli ascolti ottenuti. Una mobilitazione di chi si sente offeso da questo tipo di performance può convincere Urbano Cairo a evitare di proporre tali contenuti in futuro. Ti invito a sottoscrivere questa petizione, cliccando sul link seguente:
e successivamente a inoltrarla e diffonderla a tutti i tuoi contatti, amici e conoscenti."

Ora, al di là dell'assoluta mancanza di gusto di queste "signore" è evidente che la cosa deve essere valutata e diffusa secondo quello che è: un'assoluta mancanza di tolleranza - di questa c'è forse solo la casa di provenienza delle "signore" - oltre all'incomprensibile "orgoglio" della conduttrice: ci vuole spiegare Giulia Innocenzi a cosa di riferisce quando dice che è "orgogliosa" di ospitare questo spettacolo?

Orgogliosa? ...e di che?



















domenica 16 novembre 2014

Papale papale: alla faccia dei "politically correct"

Perdonate il rimando ma è doveroso visto che in questo argomento i due blog sono entrambi coinvolti:

http://versolacausa.blogspot.it/2014/11/papale-papale.html

Papale papale

Si dice che l'aborto sia un atto di autodeterminazione della donna, che il figlio non c'entra perché ancora non è un essere umano e quindi ciò che va protetta è la salute della donna anche solo psichica, mentre l'ammasso di cellule che è l'embrione umano va messo in secondo piano.

Si dice che l'eutanasia corrisponda all'autodeterminazione della persona che decide di interrompere la sua vita quando la qualità della sua vita non è più buona.

Si dice che papa Francesco sia una persona attenta alle esigenze dell'uomo e della donna moderni che hanno nell'aborto e nell'eutanasia due pilastri a difesa della capacità di autodeterminazione.


Si legga, allora, quello che ha detto il papa ieri, 15 novembre,  all'Associazione Medici Cattolici Italiani:

"Non c’è dubbio che, ai nostri giorni, a motivo dei progressi scientifici e tecnici, sono notevolmente aumentate le possibilità di guarigione fisica; e tuttavia, per alcuni aspetti sembra diminuire la capacità di “prendersi cura” della persona, soprattutto quando è sofferente, fragile e indifesa. In effetti, le conquiste della scienza e della medicina possono contribuire al miglioramento della vita umana nella misura in cui non si allontanano dalla radice etica di tali discipline. Per questa ragione, voi medici cattolici vi impegnate a vivere la vostra professione come una missione umana e spirituale, come un vero e proprio apostolato laicale.
L’attenzione alla vita umana, particolarmente a quella maggiormente in difficoltà, cioè all’ammalato, all’anziano, al bambino, coinvolge profondamente la missione della Chiesa. Essa si sente chiamata anche a partecipare al dibattito che ha per oggetto la vita umana, presentando la propria proposta fondata sul Vangelo. Da molte parti, la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza. In realtà, alla luce della fede e della retta ragione, la vita umana è sempre sacra e sempre “di qualità”. Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non c’è una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti, opportunità economiche e sociali maggiori. (…)
Se il giuramento di Ippocrate vi impegna ad essere sempre servitori della vita, il Vangelo vi spinge oltre: ad amarla sempre e comunque, soprattutto quando necessita di particolari attenzioni e cure. Così hanno fatto i componenti della vostra Associazione nel corso di settant’anni di benemerita attività. Vi esorto a proseguire con umiltà e fiducia su questa strada, sforzandovi di perseguire le vostre finalità statutarie che recepiscono l’insegnamento del Magistero della Chiesa nel campo medico-morale.
Il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione”: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che “vede”, “ha compassione”, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33). La vostra missione di medici vi mette a quotidiano contatto con tante forme di sofferenza: vi incoraggio a farvene carico come “buoni samaritani”, avendo cura in modo particolare degli anziani, degli infermi e dei disabili. La fedeltà al Vangelo della vita e al rispetto di essa come dono di Dio, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza.
Vi auguro che i settant’anni di vita della vostra Associazione stimolino un ulteriore cammino di crescita e di maturazione. Possiate collaborare in modo costruttivo con tutte le persone e le istituzioni che con voi condividono l’amore alla vita e si adoperano per servirla nella sua dignità, sacralità e inviolabilità. San Camillo de Lellis, nel suggerire il metodo più efficace nella cura dell’ammalato, diceva semplicemente: «Mettete più cuore in quelle mani». È questo anche il mio auspicio. La Vergine Santa, Salus infirmorum, sostenga i propositi con i quali intendete proseguire la vostra azione."

A braccio alla fine del suo discorso il Pontefice ha aggiunto:

“Giocare con la vita. Siate attenti, perché questo è un peccato contro il Creatore: contro Dio Creatore, che ha creato le cose così.
Quando tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. “Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto, per esempio? E’ un problema religioso?” – “No, no. Non è un problema religioso” – “E’ un problema filosofico?” – “No, non è un problema filosofico”. E’ un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema.
“Ma no, il pensiero moderno…” – “Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola “uccidere” significa lo stesso!”.
Lo stesso vale per l’eutanasia: tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Ma, anche c’è l’altra. E questo è dire a Dio: “No, la fine della vita la faccio io, come io voglio”. Peccato contro Dio Creatore. Pensate bene a questo.”
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/11/15/0853/01821.html

e tutto questo dal Blog di Costanza Miriano
http://costanzamiriano.com/2014/11/16/il-papa-aborto-ed-eutanasia-false-compassioni-i-medici-cattolici-facciano-obiezione/

...ossia, come si dice, "papale papale", con buona pace di detrattori di destra e di sinistra e adulatori di entrambe le parti.

Per le donne che hanno abortito riporto un toccante scritto di san Giovanni Paolo II in video.


lunedì 3 novembre 2014

Grazie

Intanto desideravo ringraziarvi tutti per l'interesse che ha suscitato il mio ultimo post sull'amore vero. Molte visualizzazioni, molti commenti, alcune osservazioni. D'altra parte le due parole - Amore vero - se non contraddittorie sembrano essere in contrasto: una sembra appartenere alla categoria del sogno, l'altra a quella della realtà. Eppure sebbene sembrino tanto diverse, tanto slegate, sono fatte per stare insieme.

Qualcuno mi ha contestato che cerco di ridurre al piano razionale qualcosa che razionale non è. Attento, gli dico, perché sicuramente l'amore ha qualcosa che sfugge alla sfera della razionalità, ma guai a pensare che non sia assolutamente legata all'aspetto razionale della nostra natura: deve essere proprio questo aspetto, insieme alla determinazione della volontà a farla da padrone o sennò... è meglio dedicarsi ad altro... no: questo non è possibile, senza amore non si vive. Non è meglio dedicarsi ad altro, ma almeno occorre riconoscere che non si è ancora capaci di amare. Questo è già un segno di grande maturità, ma insieme al riconoscimento dei propri limiti occorre l'impegno per superarli e quello per vivere secondo coscienza.

Non è una cosa facile quella che sto dicendo, ma è del tutto necessaria se si vuole vivere nel consesso umano e non solo in dipendenza dai propri capricci e manie, come gli eterni adolescenti di cui è pieno il mondo. Chiedono di non ricevere alcuna imposizione ma di fatto ti impongono il loro pensiero libero e omologato per cui ciascuno può pensare quel che vuole della realtà basta che non faccia del male ad altri.

Quando ho cominciato a scrivere sul blog non immaginavo che sarei arrivato a farne un libro. E adesso che ho scritto il libro mi sembra già così superato! Eppure ci ho messo più di un anno e mezzo a scriverlo a partire da quel 28 agosto in cui ho iniziato a scrivere a mio nipote Agostino, che proprio quel giorno festeggiava il suo onomastico. D'altra parte se ogni volta che vuoi scrivere e stampare qualcosa devi aspettare che sia completo o addirittura perfetto... nessuno pubblicherebbe mai niente!
Sto studiando ancora sullo stesso argomento, leggendo (di più) scrivendo (di meno) e, soprattutto, mi rendo conto che è uno scritto in fieri, in divenire o, come direbbero gli inglesi, in progress.
Intanto devo candidamente riconoscere che il primo ad essere sensibile al giudizio altrui sono io stesso, che mi diverto a vedere un collega che mi dice "io non sono il fattorino della società" pur svolgendo, di fatto, queste mansioni, quando io stesso spumo, a volte, dalla rabbia - ebbene si! - nel constatare che alcune delle mie mansioni sarebbero molto meglio svolte da una discreta segretaria. Con tutto il rispetto per le segretarie - ce ne sono tantissime che hanno tantissimo da insegnarmi - ma non è necessaria una laurea a pieni voti, quasi trent'anni di onorato servizio e tutta una serie di studi in filosofia e teologia e diversi libri scritti per sparare fax (o email, in napoletano: e maìl) a destra e a manca per ottenere certificazioni di servizio e poi pretendere che vi si risponda: ebbene le mie ultime due settimane di lavoro sono state occupate prevalentemente da questa attività utile, per carità, ma eccessivamente remunerata dall'azienda (e per me decisamente invecchiante).
Insomma mi piacerebbe che mi piacesse questo mestiere - a Santa Maria sarebbe piaciuto, credo - o, quantomeno, mi piacerebbe trovare di farlo meglio di come lo sto facendo o di farne un altro, se ci sono tutte le dovute premesse.


Alla fine mi rendo conto che quello che mi manca - fra l'altro - è un po' di... semplicità.


P.S.: Ti segnalo le ultime riflessioni sulla causa dell'arretratezza meridionale, finalmente identificata!

domenica 5 ottobre 2014

Amore vero

Sono due parole che tutti vorremmo vedere insieme (sembra di sentire "these are words that go together well..." Michelle, Beatles), per noi. O meglio: non vorremmo proprio pensare che possano essere divise, perché l'amore dovrebbe essere soltanto quello vero! Sappiamo che non è così e, purtroppo, non è per niente scontato che il nostro amore sia quello vero, sia quello che proviamo sia quello che riceviamo. In realtà queste due parole s'incontrano solo in un certo punto, perché sono e si muovono su piani diversi, come due persone si muovono su piani diversi, la luna e il sole si muovono su piani diversi, la notte e il giorno..., la terra e il mare...
Dov'è il punto d'incontro?



Quando tutto sembra bello
e il tuo cuore canta
e ti senti amato
e vorresti stare tutta la vita con chi ti ama
e ti ha fatto scoprire chi sei davvero
questo non è ancora amore
anche se gli assomiglia...

Quando tutto ti sembra oscuro
e non te ne riesce una giusta
e ti sembra di essere schiacciato dalle circostanze
e ti senti solo
ma qualcuno ti chiede:
"come stai?"
o semplicemente ti guarda, ti sta vicino e ti sorride


ti accorgi che il buio è dentro.
La realtà è un'altra.
La realtà è sempre un'altra
o, per lo meno, quasi sempre...

...tranne che quando sai uscire da te stesso,
con l'aiuto di un altro.
Allora
solo allora
i due piani s'intersecano
e voi due potete entrare in relazione
ma perché questa sia vera, profonda, eterna
non basta la volontà
e non bastano le due volontà:
quello è il collante
ma ci vuole la presa d'atto
che le due volontà insieme
sono un qualcosa di diverso rispetto alle singole volontà
e generano qualcosa di diverso
rispetto alla semplice somma delle due

è una cosa diversa
un nuovo soggetto
formato dalle due volontà
che si alimenta delle due volontà
ma è qualcosa di diverso
è qualcosa di sacro
qualcosa di superiore
alla singola propria volontà
alla quale si rinuncia per sempre
per tutto ciò che attiene alla nuova vita
che non è il solo figlio
ma quest'ente nuovo
altro rispetto ai due
che nasce prima ancora che dall'unione fisica
dall'unione spirituale di due persone
e che c'è anche se non ci sono figli
quelli sono una conseguenza di questa

se non si è disposti a questo
se non si è disposti a vivere in questa nuova prospettiva
allora è meglio non mettersi insieme
e andare ciascuno per la propria strada
non si è ancora pronti
non si è ancora maturi

si crescerà ancora
la vita
l'estrema evoluzione continua di tutto ciò che ha vita
crescerà ancora
e si riuscirà a capire finalmente
solo quando ci si donerà
pienamente
incondizionatamente
eternamente
a chi si ama.

Per questo tutto ciò che svicola dall'impegno per sempre, tutto ciò che si limita alla sfera fisico/sentimentale è solo una controfigura dell'amore: un amore "pezzotto" (contraffatto, si veda il capitolo 5 di questo libro: Amor vero, amor pezzotto).
Ci si può accontentare, certo, ma c'è un abisso e si fa un grande torto all'amore... e all'altro.
L'amore richiede impegno altrimenti... è come se stringessimo la mano in un accordo e sorridendo aggiungessimo "senza impegno" o come accade qua a Napoli, quando qualcuno ti ricopre dei peggiori improperi e poi aggiunge: "senza offesa": è uno scherzo, non una cosa seria.
Come se contasse solo la forma e non anche la sostanza.
No: è vero che a un amico si può dire "stronzo" affettuosamente, ma è anche vero che ci sono momenti in cui non si può "pazziare" (scherzare), in cui quello che fai lo fai davvero, seriamente, oppure è meglio che non lo fai.
Sulla mamma degli altri è meglio non scherzare.
Il resto è relativismo sordido e, francamente, repellente.

domenica 21 settembre 2014

A proposito di pregiudizi: impossibile non averli, ma almeno cerchiamo di vedere come combatterli o schivarli!

...ed eccoci ad un passaggio obbligato di chi vuole imparare a ragionare con la propria testa: il pregiudizio o idea preconcetta. Com'è spiegato al capitolo secondo di "Finalmente liberi" non è difficile ma impossibile non avere pregiudizi tuttavia occorre smascherarli e tenerli nell'opportuna considerazione. Non è necessariamente detto che essi siano sbagliati rispetto alla verità, tuttavia non è assolutamente possibile pensare di accedere a questa se non si sono prima individuati i propri pregiudizi e non si sono messi all'angolo!

Proviamo a vedere quest'istruttivo filmato:

http://video.urbanpost.it/video/il-cortometraggio-che-combatte-i-pregiudizi

Interessante no? Si tratta certamente di un montaggio artificiale, tuttavia è emblematico di come possa essere capovolto il normale modo di vedere le cose di una persona (in questo caso di due, la bambina era troppo piccola per avere pregiudizi).

Oppure ricordiamo il racconto di Stephen Covey nell'indimenticabile "I sette pilastri del successo": l'autore si trovava in metropolitana e assisteva indispettito alle chiassose scorribande di tre ragazzini scalmanati mentre il loro papà rimaneva inerte con un'aria trasognata. A un certo punto Covey perde la pazienza e gli fa notare che dovrebbe fare qualcosa per far finire quel finimondo, ma il signore, scusandosi, gli trasmette una notizia che capovolge il modo di pensare di Covey. Stavano appena tornando dall'ospedale dove si era appena spenta sua moglie, madre dei tre ragazzini ed egli non se la sentiva di inibirli.

mercoledì 17 settembre 2014

Cristiada - Un kolossal che vale la pena vedere e far conoscere...

... anche perché, chissà come mai, qualcuno sta cercando d boicottarlo in Italia... magari qualche massoncello, visto che parla della ferocia e ottusa arroganza del presidente massone di 33° grado Plutarco Elías Calles, che fece affogare nel sangue la rivolta dei "cristeros", cristiani che cercavano di riconquistare la libertà religiosa che egli negava per poi appenderli, uccisi, ai pali della luce. Si veda cosa ne dice Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Cristiada_(film).

Esso dimostra a quali aberrazioni può portare una testa che non ragiona più e si aliena dalla realtà.

TRAMA DEL FILM

La pellicola narra di una pagina drammatica della storia dell'America Latina che vive ancora oggi nella memoria del Paese: la guerra civile Messicana (anni 1926-1929).
Il film mostra uno straordinario Andy Garcia, nei panni dello stratega militare Enrique Gorostieta Velarde, uomo d'armi indipendente da ogni credo religioso, a cui viene chiesto di mettere la sua esperienza a servizio della causa dei Cristeros, persone umili unite dal desiderio di difendere i loro valori, divenendone presto il formidabile leader militare.
Una splendida Eva Longoria (vincitrice del Golden Globe), con Eduardo Verástegui, il premio Orscar Peter O'Toole, Catalina Sandina Moreno (nominata al premio Oscar), Bruce Greenwood e Mauricio Kuri, completano il cast del film diretto da Dean Wright, già direttore effetti speciali del "Il Signore degli Anelli", "Titanic" e "Cronache di Narnia".
Nel team tecnico si menzionano il film editor nominato al premio Oscar Richard Francis-Bruce, già editor di "The Shawshank Redemption", "Seven", "Harry Potter And The Sorcerer's Stone" e il responsabile della colonna sonora vincitore del premio Oscar James Horner, già compositore di "Avatar", "Titanic", "Braveheart".
Produzione: Pablo José Barroso.
Distribuzione Italiana: Dominus Production.
Ufficio Stampa: Studio Lucherini Pignatelli.
Doppiaggio Italiano: Fono Roma Film Recording.
Agenzia Web: G.G. Service.

martedì 9 settembre 2014

Ragionare con la propria testa significa...

1) ... riflettere: prendere tempo per fare valutazioni se ci rendiamo conto che non abbiamo tutti gli elementi per esprimerle
2) accettare di non avere nessuno dalla propria parte, quando siamo assolutamente convinti che abbiamo ragione... e al tempo stesso chiedersi... da cosa nasca quest'incrollabile certezza
3) documentarsi: non accontentarsi di sentire una sola campana e invece cercarne altre di suono diverso anche se la prima ha un bel suono "convincente"
4) paragonare le idee diverse dalle nostre e chiederci se per caso il nostro interlocutore non abbia più ragione di noi
5) saper distinguere i fatti dalle idee e...
6) ... non accontentarsi di accogliere una versione dei fatti coincidente con le nostre idee se prima non abbiamo attentamente analizzato i fatti
7) avere il gusto dello scoprire inconfutabilmente il proprio errore almeno tanto sviluppato quanto quello di scoprire di avere assolutamente ragione
8) riuscire ad avere un distacco verso le proprie idee tale da chiedere all'interlocutore: "mi farebbe piacere scoprire di avere torto, puoi aiutarmi a capire dove sto sbagliando?". Non si tratta di un artificio retorico per spiazzare l'interlocutore, deve essere assolutamente sincero e si basa sulla convinzione che la cosa più importante non è vincere in una discussione ma scoprire qual'è la verità
9) fare valere la forza del ragionamento anche per tutti gli elementi contrari addotti dall'altro
10) dichiarare il proprio interesse ad indagare insieme gli indizi di verità presenti nell'opinione di ciascuno ed il proprio totale disinteresse a perdere tempo in polemica con l'altro come con chiunque altro
11) partire da una base d'accordo comune e trovare tutti i punti in comune nell'opinione di entrambi per poi esaminare i punti di divergenza ed essere consapevoli che la verità non si esaurisce nella base comune, ma c'è e sta da qualche parte
... adesso continua tu, per favore.

sabato 23 agosto 2014

Bella la musica, a volte bellissima, meravigliosa! Ma che non ci tolga...

... Il piacere di un buon libro · 26 giugno 2014
Pubblichiamo un articolo apparso nella rubrica «Altre storie» del «Messaggero di sant’Antonio» di giugno.
Forse non viviamo una vita vera, ma siamo protagonisti di un film: questo sembra essere il messaggio che ci lanciano le colonne sonore che — volenti o nolenti — accompagnano le nostre vite, proprio come succede ai personaggi dei film.
Ormai un sottofondo musicale è previsto praticamente dovunque: bar, ristoranti, negozi e perfino nei supermercati — pare che così la gente compri di più — e talvolta anche nelle stazioni o negli aeroporti. Naturalmente le musiche sono differenti: possiamo sentirci immersi in ritmi melodici napoletani in una pizzeria, in un’atmosfera jazz se il bar dove entriamo è sofisticato; in un clima americano melodico — magari con Frank Sinatra — in un ristorante, come se ogni cena fosse l’occasione di affascinare l’anima gemella. Nei negozi di jeans prevale il rock o il genere metal; in quelli vintage canzoni buffe degli anni Trenta; se i tavolini di un caffè sono all’aperto, musiche da operetta possono rievocare i café chantant; nei musei, soffusa nello sfondo, classica. Perfino nelle chiese, in quelle antiche e artisticamente belle, quelle dove si entra non solo per pregare, ma anche per ammirare, ormai è prevista una colonna sonora: naturalmente si tratta di musica sacra, a volume basso, ma comunque tale da rompere il silenzio. Forse in quest’ultimo caso l’intenzione è buona: è un modo per far capire ai turisti che si trovano in un luogo sacro, che non possono parlare ad alta voce, far rumore. È un modo di generare rispetto, di suscitare sentimenti di devozione.
In ogni caso queste colonne sonore colorano la nostra vita di atmosfere che magari in quel momento sono molto lontane dal nostro stato d’animo, influenzano — qualche volta, bisogna ammetterlo, in modo positivo — il nostro umore. Ma creano anche sensazioni bizzarre e fuori luogo: come fossimo sempre, a ogni età e in ogni occasione, innamorati e sospirosi, o in altri casi, ribelli e scontenti. E poi rendono difficili i contatti umani, perché per parlare dobbiamo alzare la voce, che perde le inflessioni che vorremmo darle: i messaggi si fanno brevi e perentori, specie se il loro contenuto è in contrasto con il clima musicale imposto. Quante volte, in un ristorante, un gruppo di persone che si incontra per chiacchierare viene indotto a rinunciare a qualsiasi discorso un po’ lungo e complesso dalla musica che imperversa e rende difficile ogni scambio verbale? Perfino un’antica abitudine ben collaudata, come quella di dire «andiamo a prenderci un caffè così ne parliamo» viene annullata dalla colonna sonora che imperversa, impedisce di sentire cosa dice l’altro e, per di più, crea un’atmosfera spesso poco adatta al discorso che si vuole affrontare.
Anche se ci stiamo talmente abituando alla musica che quasi non la ascoltiamo più la musica, e se qualcuno la commenta lo guardiamo stupiti: per noi è solo uno tra i tanti rumori che ci circondano e ci rimbambiscono. Così abbiamo ucciso il silenzio, che non sempre e non solo significa solitudine. Silenzio è anche possibilità di sottrarsi alla banalità quotidiana, di entrare nel profondo di se stessi, nel luogo dove nasce un pensiero che si plasma poi nella parola. L’apice del silenzio ce l’abbiamo nella lettura silenziosa, che permette al lettore solitario di creare con il libro un rapporto esclusivo. Non è un caso che nella nostra società, inquinata da musiche e rumori stia scomparendo l’abitudine alla lettura: soprattutto per i giovani è sempre più difficile trovare concentrazione e silenzio, condizioni indispensabili per la comprensione di un testo. E chi non legge perde molto.
Come ha scritto un grande studioso, Giovanni Pozzi: «Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace».

di Lucetta Scaraffia

sabato 16 agosto 2014

Ragionare con la propria testa non significa seguire SOLO il proprio istinto...

...SVOLTA ANTROPOLOGICA: UN PROBLEMA SU CUI RIFLETTERE

Riporto e commento quanto scrive la prof.ssa SCARAFFIA (Associato di Storia Contemporanea all'Università "la Sapienza" di Roma):

Lucetta Scaraffia
19 luglio alle ore 15.03 ·

L’ultimo numero della rivista francese “le débat” contiene una sezione totalmente dedicata al matrimonio omosessuale, e in particolare al destino dei figli che tali coppie vorrebbero allevare come propri. Aprendo un confronto su questo tema, l’autorevole testata laica francese si propone soprattutto di considerarlo un problema antropologico di ampio significato per la società, e non semplicemente un allargamento dei diritti, come vorrebbero i difensori del “matrimonio per tutti”.

Secondo Paul Thibaud, filosofo che è stato direttore di “Esprit”, questa apertura all’approfondimento costituisce di per sé una novità interessante in un panorama in cui si è cercato in ogni modo di soffocare il dibattito, argomentando che con la nuova legge si trattava solo di riconoscere un cambiamento già avvenuto nella società. Thibaud nega che questo sia vero, perché sostiene che qui non si tratta di “riconoscere” le coppie omosessuali nella loro specificità, ma proprio il contrario: far dimenticare che sono diverse.

E l’assenza di discussione si spiega, sempre secondo l’intellettuale francese, con la totale privatizzazione in cui sono stati confinati sia il matrimonio sia la procreazione; privatizzazione che ha come corollario l’illegittimità di trattarne in un pubblico dibattito. Cancellare il carattere istituzionale della famiglia ha per effetto quello di scegliere una temporalità corta – cioè il contratto, le volontà di oggi, i sentimenti del momento – senza guardare con responsabilità al futuro.

La filosofa Nathalie Heinich sottolinea come, in nome dell’eguaglianza, si sta sottoponendo il regime matrimoniale e lo statuto della filiazione a pesanti trasformazioni, e tutto perché c’è stato uno slittamento del concetto di differenza verso quello di ineguaglianza (e di quello di ineguaglianza verso l’ingiustizia), slittamento che si fonda su una riduzione del concetto di giustizia a quello di eguaglianza. Dimenticando però che i diritti sociali non si fondano sull’eguaglianza, bensì sull’equità. È così che si è arrivati a definire un “diritto al figlio”, diritto inaccettabile perché si basa su una estensione abusiva del valore dell’eguaglianza.

Uno psicanalista, Maurice Berger, prende poi in esame le ricerche che dovrebbero verificare se lo sviluppo dei figli di coppie omosessuali risente della loro condizione, con il risultato di considerare queste coppie poco “attendibili”, quasi tutte molto ideologiche: in sostanza dei bluff. E lo studioso conclude domandandosi come mai, stando così le cose, il principio di precauzione – a cui così spesso si ricorre in tutti gli ambiti – non debba applicarsi anche a questo.

Infine, la psicoterapeuta Catherine Dolto critica severamente ogni forma di gestazione per altri, considerandola una forma di produzione dei bambini che li rende oggetto di una transazione finanziaria: situazione orribile e possibile solo “in un contesto di mercantilizzazione del vivente mai sperimentato fino a oggi”. La sua esperienza di studiosa dell’infanzia la porta a bocciare senza appello la possibilità di affittare l’utero, poiché è ormai ben noto che anche la fase intrauterina è decisiva nel formare la psiche del bambino e nel determinarne il processo di umanizzazione.

Anche Dolto vede in queste trasformazioni un pericolo per il futuro, a cui nessuno vuole rivolgere lo sguardo: “C’è un legame stretto e attivo – conclude la grande psicoterapeuta – fra la maniera in cui una società inquadra la gestazione e la prima fase della vita umana e l’evoluzione che i bambini così trattati faranno subire al quadro sociale. Non prendersi cura seriamente dei nuovi arrivati significa preparare una barbarie futura”.

Ma guarda: qualcuno che nel fronte laico si azzarda a dire "il re è nudo". Complimenti: si tratta di persone coraggiose, dal momento che saranno sottoposte, come tutti i loro predecessori, all'ostracismo dell'intellighenzia laica, che è senz'altro acuta e benpensante ma senza pietà per chi si permette di uscire fuori dal recinto - in cui il belato è comune e politicamente corretto - e dire la propria secondo quello che una volta si chiamava "coscienza" e che oggi rimane troppo spesso inascoltata.

mercoledì 25 giugno 2014

Come la vita...

... ecco la ristampa del mio primo libro "C'era una volta la SME" (prima edizione 2003).
Altre notizie su www.comelavita.it.

martedì 24 giugno 2014

La fine del sogno americano

Ricordate gli Stati Uniti d'America? Quelli in cui tutti, prima o poi, abbiamo sognato di trasferirci per realizzare i nostri sogni, il paese della libertà, dell'iniziativa economica, del mercato aperto?
Si, una volta era così, c'erano tanti che si erano fatti dal nulla, a forza di lavorare, in un paese effettivamente libero, dove la giustizia era ancora più importante dell'ordine, dove chi meritava veniva premiato e gli americani erano bambinoni in grado di divertirsi con nulla e si sposavano, facevano figli e potevano guardare al futuro con fiducia.
Ora non è più così o, per lo meno, non è sempre così. Ci sono tante minacce che mettono in pericolo questo modo di agire, di pensare, di sperare.
Lo abbiamo capito quando abbiamo visto che non aderivano al Protocollo di Kyoto. Forse i più attenti lo avevano capito anche prima. Che delusione! Ma come? Il paese più grande del mondo, sceso in guerra per difendere la libertà... anche fuori dai confini nazionali ti rifiuti di autolimitare le emissioni di anidride carbonica? Che succede? Cosa c'è che non va? Altro che garante della pace e dell'equilibrio mondiale...! Gli Stati Uniti d'America obbediscono al gioco delle lobby. Bisogna produrre, guadagnare, quindi niente Kyoto.
Ne abbiamo avuto triste conferma allo scoppio della crisi del 2008.
Altro che moralisti questi americani! Sono immorali, la loro finanza ha messo in ginocchio il mondo intero. Certo, non si può fare di tutta l'erba un fascio, tuttavia se "il pesce puzza dalla testa" c'è da dire che le responsabilità di questa situazione sono, ahimè, molto in alto.
Provate a dare un'occhiata al documentario "The inside job" (niente paura: è in italiano): è davvero molto istruttivo. A quanto pare i principali responsabili della crisi sono ancora tutti là!



Mi piacerebbe ricevere qualche commento. Non è stupefacente?

giovedì 13 febbraio 2014

Scrivono di noi... a "Cogito et Volo"

Ecco cosa scrive Guido Vassallo su "Cogito et volo":

Finalmente liberi: uno di quei casi in cui un blog diventa libro. Ce ne sono, al giorno d’oggi, più di quanto si possa pensare. Lo fanno spesso i giornalisti, che mettono insieme un po’ di post di successo che hanno pubblicato nei loro blog e ne fanno una raccolta miscellanea. Qui a scrivere è Alessandro Pagano, un personaggio poliedrico, che tra le tante attività che svolge si occupa anche di raccontare storie aziendali: raccoglie esperienze di vita e le fa diventare libri. Testi che hanno il fascino della vita vera, non della fiction. In questo libretto, che si legge con piacere tutto d’un fiato, in un certo senso l’esperienza di vita è la sua. Parlando con lui si scopre infatti che Agostino, la persona a cui il libro è dedicato ‘nel giorno del suo onomastico’, è una persona reale, un ragazzo con il quale, a distanza attraverso il blog  e nella vita reale, ha parlato di libertà, di amore, di pensiero critico.
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L’idea di fondo è: solo se ragioni con la tua testa sarai capace di fare scelte libere. E solo facendo scelte libere sarai felice. La felicità, sembra dire la filosofia semplice di questo libretto, consiste nell’avere una vita coerente con il proprio credo e un credo che rispetta la natura e il senso innato delle cose. Per cogliere questo senso occorre pensare, non accontentarsi delle prime risposte che si trovano, andare a fondo. E a volte anche lasciarsi guidare.
Tra le righe ci sono poesie, parole chiave scritte più grosse e accompagnate da frecce per evidenziarle, brani tratti da articoli di giornale, testi di canzoni, link a video di youtube. Si potrebbe dire che l’immediatezza, quasi un flusso di pensiero, sia il tratto saliente di questo libretto, che non ha pretese letterarie ma pretese ben più ambiziose, esplicitate nel sottotitolo: Guida pratica per ragionare con la propria testa.

lunedì 10 febbraio 2014

Commento di Simone Bertino

Un commento più che lusinghiero, quello di Simone Bertino:

Voto 
La libertà è in vendita.
Un libro colto, non per tutti. Certamente è un libro inadatto a chi non ritiene indispensabile ritagliarsi del tempo, di qualità, per se stessi, a dispetto delle sollecitazioni esterne, che agiscono dall’interno. Un libro diretto, da leggere con calma, per poter riflettere. Un libro da scoprire. Un libro da pensare, con pazienza. Sicuramente non è un libro facile. Questo non significa che sia difficile. Una contraddizione? No, due frasi, due affermazioni. Ma forse potrebbe essere solo una frase con un’affermazione ambivalente, forse con un solo significato, decidilo tu, se sei libero. Un libro che si mette di traverso, tra il lettore e la volontà di essere un lettore migliore. E’ difficile? Non lo posso dire. Un libro per ragionare e per scoprire. Un libro chiaro, che parla ad un lato oscuro. Un libro che sa far rallentare. Un libro contro corrente. Un libro che dovrebbe essere letto. Una sfida tra le parole, del titolo. Una conquista tra le parole, del breve ma intenso testo. Un libro che doveva essere scritto. L’autore l’ha fatto. Il libro è l’autore. L’autore è il libro. Si parla anche di donne, di amore, quindi è un buon libro, per certi versi romantico. Le donne, più che gli uomini, dovrebbero leggerlo. Certamente lo capirebbero. Se l’autore, Alessandro Pagano, fosse uomo di spettacolo il libro sarebbe un best seller. Ma questo non è un buon motivo per non leggerlo. Io l’ho letto. Lo spettacolo è nel libro, non fuori. L’impegno nella lettura viene ripagato con la qualità dei pensieri che ne conseguono. Leggilo se hai a cuore la tua libertà mentale.
Grazie per i commenti, se potete fateli pure sulla pagina di vendita
e vi sono grato due volte!
pagina per l'acquisto o il commento

Riflessioni da quarantena

me, dopo 54 giorni di "quarantena" In questi giorni di forzata clausura, quando arrivano i momenti difficili in cui ti f...