domenica 4 ottobre 2015

Lo strano caso di Mons. Krzystof Charamsa

Alla vigilia del Sinodo sulla famiglia "viene fuori" (coming out) un Monsignore della Curia Romana, Krzystof Charamsa, 43 anni, polacco, che si dichiara gay e si fa vedere con un compagno, mentre si scambiano affettuosità. A parte il fatto che il suo comportamento è sleale - non si può fare outing senza averne parlato con i superiori della comunità della quale fa parte e affermando che scriverà una lettera al papa: da questo si arguisce da chi va cercando il proprio consenso, dalla stampa e non dalla Chiesa - ci si chiede come mai abbia scelto di farsi prete, dal momento che si sapeva omosessuale anche da prima e la Chiesa, che per volontà di Benedetto XVI nel 2005 ha ribadito ancora più chiaramente l'incompatibilità dell'omosessuailità con lo stato clericale, chiede dai suoi inizi il celibato e l'astensione dai rapporti sessuali ai propri ministri. In questo concordiamo con quello che, insieme con l'estensore dell'articolo, padre Enzo Bianchi sostiene sul Tempo: http://www.iltempo.it/cronache/2015/10/04/il-vaticano-licenzia-il-monsignore-gay-1.1464156. 
«Che all'interno di tutte le chiese ci sia la presenza di gay che attendono dalla Chiesa delle risposte è un dato di fatto - commenta padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose - tuttavia il rischio, dopo questo outing, è che si infiammino gli animi e che si tolga la necessaria serenità alla discussione» del Sinodo. «Il problema - riflette - al di là dei pregiudizi che ci sono nei confronti delle persone omosessuali è che c'è una incompatibilità tra chi, essendo prete, ha fatto il voto di castità e poi vuole formare una unione. Mi pare una scelta in contraddizione con il Vangelo».

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Il suo outing perchè la Chiesa prenda in esame la familiarità dei gay è, più che commovente, penoso. Le persone omosessuali, alcune delle quali si ostinano a farsi definire solo per la loro tendenza sessuale, meritano il rispetto di tutti, certo, anche in considerazione della difficile situazione che si trovano a vivere. Questo non li autorizza tuttavia a esimersi dalle regole del rispetto verso gli altri e verso le regole della società e in particolare della comunità a cui appartengono: il Monsignore non può mangiare in un piatto e sputarci dentro. O dentro o fuori: e mi sembra che sia chiaro adesso cosa voglia.

C'è tuttavia qualcosa di positivo in questo gesto "irresponsabile" come l'ha definito il portavoce vaticano: si sapeva da tempo che c'erano alcuni alti prelati omosessuali in Curia. Se ne parlava fin dai tempi dell'inchiesta sul corvo e della fuga di notizie ai tempi di Benedetto XVI. Adesso almeno si sa che ce n'è - o meglio ce n'era, perchè in Curia non potrà lavorare più - uno in meno e francamente ci aspettiamo che vengano fuori anche gli altri, ammesso che vi siano, in modo da rendere più affidabile un'Istituzione di cui troppo spesso ci si vuol servire, piuttosto che mettersi al suo servizio.

Nel frattempo continua, inarrestabile, con una costanza dalla quale dovremmo trarre insegnamento, la marcia dei gay verso la conquista dell'opinione pubblica mondiale. Già, ma la vita, la famiglia dov'è in tutto questo? Perchè certo che queste persone meritano, come tutti, di essere accolte in una famiglia, ma proporre di guidarla mi sembra come dare i comandi di un aereo in mano a un bambino. Ce l'ho con i bambini? No, piuttosto è vero il contrario, sto cercando di difenderli in un momento in cui sembra prevalere la legge del più forte. E questi non sono i bambini.

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